martedì 11 settembre 2018

gioielli, gioie e matrioske

[n.27]
Era il 10 Settembre, l'estate al paesino era ormai finita, l'ultima festa era trascorsa e già per alcuni ragazzi era cominciata la scuola. Lui e altri ragazzi della comitiva si erano fatti una bella settimana di vacanza lontano da qui, ed erano tornati soltanto da un paio di giorni. So che aspettava una vacanza del genere da un paio di anni, ma per tanti motivi non gli era stato possibile esaudire questo desiderio; tant'è che non si era fatto sentire in quei giorni, ma lo immaginavo che volesse tenersi lontano da tutto ciò che lo aveva tenuto qui, da ormai molto tempo. Quel lunedì sera, mentre passeggiavamo in una piazza ormai quasi deserta, mi chiese di fargli compagnìa per la solita sigaretta, ma non lì, bensì alla fonte d'acqua nella parte bassa del paese; mi convinse dicendomi che mi avrebbe dovuto dare un qualcosa che mi aveva portato dalla Puglia ma che non voleva farlo in mezzo agli altri perchè agli altri non aveva portato un bel nulla. Accettai e andammo. Arrivati la, mi diede una busta e mi disse: "dentro ci sono un foglio e un pacchettino, mi raccomando prima occupati del foglio".
Io, ad essere sincero, immaginai si trattasse della soluzione al mio caso, finalmente. Cercai di fregare la soddisfazione tanto immaginata e l'attesa rallentando i movimenti e i tempi in generale; mi sedetti sul muretto che sovrasta la fonte e nel frattempo lui si venne a posizionare accanto a me; si accese la solita sigaretta, e senza dire parola, mi fece cenno di aprire la busta e poi di leggere ciò che c'era scritto sul foglio:
"Sai, è vero che da tempo avevo scritto il capitolo 27, quello che poi alla fine sarebbe dovuto essere l'ultimo, la chiusura di quel mio famoso racconto. E l'avevo fatto perchè pensavo che per forza di cosa si sarebbe giunti ad una fine; nessun pessimismo ma tanto tanto realismo. I nostri mondi sono diversi pur appartenendo alla stessa galassia, le nostre strade parallele e vicinissime, in alcuni casi separate solo da un muro di siepi, basse ma pur sempre presenti e separatrici, e non credo arriverà mai qualche ingegnere a creare anche una piccola stradina, una "vanedda" che possa congiungerle, anche solo per un paio di metri, o per un attimo. L'ho sempre pensato, lo pensavo prima di cominciare a scrivere e probabilmente lo penso anche adesso...senza probabilmente. Però poi, col passare del tempo, col passare delle volte in cui mi è stata accanto, col passare delle volte in cui l'ho ritrovata nella mia testa, seduta su una sedia dondolo, messa lì a fissarmi in un profondo silenzio con quegli occhi indecifrabili che mi urlavano di osservarla per dirle "stai benissimo così", col passare delle volte in cui mi è mancato rivederla, col passare di tante cose ho scelto di cestinare quel 27° capitolo, prematuro e forse troppo reale. "E adesso?" mi chiederai. Potrei inventarmi qualcosa per fare lo scrittore figo, pomposo, fantasioso, però a dirti la verità non ho idea di cosa mettere nel 27 e non ho idea di come continuare la storia, ma ho una voglia matta di continuarla. La spinta definitiva a farmi scegliere di non fermarmi l'ho avuta in questa settimana che sono stato lontano da casa. Quando sei in mezzo ad un mare di estranei, quando senti un dialetto non tuo, quando senti storie paranoiche anche da perfetti sconosciuti, quando sei solo seduto faccia a faccia col sole al tramonto e col culo bagnato dall'acqua salata, ti rendi conto subito, immediatamente, di cosa ti manca. E tra le 3 o 4 persone che mi mancava sentire, osservare e rivedere anche solo per un attimo, una era lei. E allora ho detto "Tò, perchè devi mettere un punto? sono due strade che non hanno contatto ma sono pur sempre vicinissime, basta girarti e vedere di là, e allora perchè devi svoltare a destra, allontanarti e finire?? Perchè non lasci decidere al caso quando sarà il momento di scrivere l'ultimo capitolo?? perchè non smetti per un attimo di usare la testa e agisci senza seguire ragionamenti pseudo-logici???" questi giorni di lontananza mi sono serviti a capire e riordinare tante cose, in parte a riordinarmi, in parte a capire che crescere ha qualche lato negativo e che non è il momento di continuare a fare il cresciuto della situazione. Tornare a vivere momenti senza pensare a come sarà il dopo, questo mi ha fatto paradossalmente un po riaprire la mente, nel senso che l'ho riaperta mettendola però da parte, in angolo, muta e impotente. E allora si che lo continuo il racconto. Si che continuo a cercare il momento per scambiare anche solo quelle 2 parole con quella voce che tanto mi fa bene; si che continuo a cercare di scoprire i vari pezzi di quella meravigliosa matrioska, dalla "madre" che già immagino di conoscere bene, fino, mi auguro, al "seme", e semmai il caso, un giorno a sorpresa, metterà una barriera alla mia strada costringendomi a svoltare e cambiare direzione, pazienza, vuol dire che nel libro della mia vita l'ultimo capitolo doveva nascere in quel modo; non devo essere certo io a mettere una fine: non lascio mai lì un piatto di patatine fritte ancora pieno, lo lascio solo se per caso mi cade a terra o se poi, ad un certo punto, finiscono. Si che la continuo questa storia; sarà un pelino più difficile e richiederà forse più tempo di quanto ne è già trascorso, perchè le circostanze mi impediranno di poter essere tanto realista: non è più estate, e non potrò averla a disposizione così tante volte; nessuna nottata, ora ci si sveglia presto, la scuola incombe...in pratica sarà come se dovessi farle un ritratto senza però trovarmela sempre lì accanto, seduta di 3quarti. Quindi amico mio, mi dispiace per te, ma non posso svelarti il mistero; e ahimè, il 27 che è il numero più ricorrente in questi ultimi miei anni non sarà più il capitolo finale, magari proverò a renderlo il più bello della storia. Con molta probabilità in quel capitolo racconterò della gioia, quella che ho visto nei suoi occhi quando l'ho rivista accanto a me appena dopo il mio ritorno a casa. Si, caro mio, la gioia. Una gioia che Dio ancora non mi aveva dato la fortuna di vedere nei suoi occhi e dipinta nel suo volto. La gioia, quella vera, dopo aver ricevuto un qualcosa che le ha fatto realmente piacere, quella stessa gioia che, se tu chiedessi a lei, probabilmente avrà visto nei miei occhi ogni volta che ha avuto la possibilità di guardarmi da vicino. Quella gioia che in quell'attimo l'ha resa di nuovo bambina, una bambina in piena esaltazione, capace di non stare ferma un attimo, capace di gesticolare 6milioni di volte in un solo secondo, capace di indossare quel qualcosa mentre ancora era impacchettato; frenesia credo si chiami, io la intendo come gioia; la stessa gioia che provo io a ripensarci, perchè se lei è sempre bella, in questi 500giorni non l'avevo mai vista così bella e luminosa, e il merito era un po anche mio. Quindi magari racconterò della sua gioia, magari racconterò della mia, della mia voglia di lei, della voglia di non vederla riuscire ad aprire quella porta, o della sua arrampicata in uno di quei luoghi off-limits, di quel giro fatto su se stessa saltellando, della sua sicurezza nonostante l'altezza e la profondità del luogo, o della sua buffa capacità di nascondersi il viso per paura di essere assalita da uno stormo di colombe notturne, oppure ancora del suo modo di imitare il rap di ultima generazione, quello fatto di stupidi monologhi o di associazioni di parole senza un nesso tipo amore e capoeira.
Si si, racconterò di questo, di questa gioia che in fondo altro non è che un nuovo pezzo di quella matrioska che piano piano sto avendo la fortuna di scoprire; e poi non so cosa racconterò più avanti, spero avrò la fortuna di ricevere tanti altri spunti proprio da lei, ma di sicuro non mi fermerò.
Perdonami se non ti svelo nulla, anche se qualche altro particolare se ti impegni puoi coglierlo; perdonami se non sono riuscito a parlartene ma ho dovuto scriverti tutto questo trattato e ho dovuto fartelo leggere nonostante io sia qui seduto accanto a te; perdonami ma parlare di lei e di me quando c'è lei di mezzo mi viene difficile, mi si bloccano le parole, invece scrivere mi riesce meglio; perdonami, e anzi, per farmi perdonare meglio ti ho portato quel ciondolo che dicono sia un grosso porta fortuna; tienilo, e ogni tanto digli che porti un po di fortuna anche a me".
Mi girai verso di lui, mi guardava e aveva gli occhi un po lucidi. Gli diedi una pacca sulla spalla, lui si alzò, si accese un'altra sigaretta e se ne andò fumarla nascondendosi nel buio. Pensavo che la sua sensibilità venisse fuori solo nelle parole che scrive, e invece è umano anche lui.
Immaginavo di aver risolto il mistero, i presupposti mi avevano convinto che sarebbe stato così; rimasi con quel ciondolo e con la consapevolezza che ancora avrò da lavorare per trovare la soluzione.

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