domenica 19 agosto 2018

la Principessa col fucile

[n.25]
Passai il mio ferragosto lontano dal paesino; scelsi di andare con i miei per un paio di giorni in cui decisi di staccare da storie non mie e da pensieri personali (ma questa è tutta un'altra storia). Rientrai venerdì 17, e nonostante sia una data vista da molti come un qualcosa di negativo, io le trovai qualcosa di positivo: al ritorno a casa, nella cassetta delle lettere l'ennesima traccia di questa strana storia; così come ci eravamo lasciati qualche giorno prima della mia partenza, con un foglio scritto da lui ritrovato in mezzo alla posta, allo stesso modo mi diede il "bentornato", come a volermi ricordare di rimettermi in carreggiata, o semplicemente di non perdere il filo.
"[il pezzo è una continuazione di quello che ti ho fatto avere qualche giorno fa, devo solo trovare una frase o comunque un qualcosa per legarli in modo perfetto]
Siamo spesso vittime e carnefici di noi stessi; le nostre idee, le nostre voglie, le nostre passioni ci donano contemporaneamente acqua e sali per crescere e cicuta per farci morire piano piano, dandoci il tempo di gustarci, nel bene e nel male, entrambi i momenti. Negli ultimi giorni il dubbio sul continuare o fermarmi mi ha completamente sopraffatto; sono già diverse notti che non riesco ad essere deciso, e se considero che da un anno a questa parte riesco ad essere lucido solo di notte, significa che sto messo discretamente male. Nei giorni scorsi, ho vissuto in uno stato di eccitazione dolorosa, di gioia imbronciata, di felicità puttana; come se avessi una voglia irrefrenabile di vivere qualcosa che è diventata come un groppo in gola dalle dimensioni di un grattacielo; ho dubitato e dubito se continuare o no perchè all'immensa voglia di parlare di lei, di descriverla, di mostrarla mi si è contrapposto il pensiero di non farlo più, per tenermela tutta per me; non voglio lasciare il libro aperto, non voglio lasciare i contenuti liberi a tutti: chi lo comprerà, la sua comprensione se la dovrà sudare; il problema di fondo è che non riesco a percepire quale delle 2 strade sia quella da percorrere e quale da accantonare; e come se non bastasse, ad aumentare il caos si è aggiunto un sogno fatto una di queste notti; c'era lei, nel suo massimo splendore, con quel rossetto talmente rosso che luccicava a km e km di distanza; camminava per le vie di una cittadina a me sconosciuta, ma ad ogni passo veniva fermata e ammirata da chiunque la vedesse, vecchi e giovani, potenti o semplici bambini, ambulanti e giocolieri di strada; e io ero sempre lì, vicino a lei ma mai tanto accanto da poter urlare, a chiunque la fermasse, che lei è la miglior cosa che il destino potesse avergli fatto vedere quel giorno; e mi bruciava non poterlo fare, e ripetevo tra me e me che quello doveva essere il "MiRodeIlCuloDay".
Lei aveva vinto anche stavolta, aveva deciso per lei e aveva vinto; per l'ennesima volta era riuscita ad andare oltre i miei desideri, forse addirittura contro i miei desideri, come se fosse riuscita a trasformare il mio sogno in un incubo; ancora una volta, come sempre, mi aveva dato uno schiaffo mascherandomi il dolore con l'ondata di quel profumo che solo la sua pelle ha. Le mie gambe poco funzionanti mi portavano a stare la, a distanza di sicurezza, nonostante la mia testa avesse deciso di spegnere l'interruttore per quel giorno. Tra gli sbuffi e i lamenti, di quel giorno e di quel sogno ricorderò soltanto i sorrisi che di tanto in tanto mi faceva: li ricorderò perchè, e me ne vanto, erano gli unici veri; era quel sorriso bello, non eccessivo ne barbaro, spesso accennato e quasi sempre dolce; con la bocca chiusa da quelle labbra rosso fuoco, con le guance a mostrare una leggera timidezza e con la destra un po più rialzata; e con quegli occhi che a bassa voce mi dicevano "tieni, questo è per te; so che ti piace e ti rende felice: prendilo". Il quel sogno lei era come una principessa con una pietra preziosa color arancio (quale altro colore se non quello dei capelli di cui mi ero innamorato) al collo e un fucile in mano: ogni dieci colpi che mi assestava, mi dava un sorso di quel sorriso che faceva da antidoto, guarendomi all'istante e concedendomi di rimettermi in piedi per assestarmi altri 10 colpi.
Aveva vinto ancora. E da quel sogno, che considerandolo bene era in realtà un incubo, lei ne uscì da vera principessa e io da povero suddito mendicante, innamorato perso della sua dama senza la benchè minima possibilità di poter essere ascoltato.
La fine ipotetica di questo libro si avvicina, e me ne rendo conto dal fatto che vedo il caso e il tempo che ultimamente vanno mano per la mano. E' come se in questo lungo periodo io avessi lavorato per aprire il guscio, e adesso, con l'avvicinarsi del 27° e di miliardi di circostanze contigue, lei è pronta a volare via...da me."

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